Nel chiostro del Conservatorio di Milano Sonia Bo, il nuovo e primo direttore donna nella storia dell’Istituto, ci spiega che il periodo è negativo in tutta Europa. In questa situazione generale, la sua scuola ha anche dovuto cambiar pelle. Con la riforma, infatti, i conservatori si sono trasformati in Università a tutti gli effetti. Chi prepara ora gli studenti prima dell’ingresso al conservatorio-università?
«Ci è stato concesso, in questa fase di passaggio, d’istituire dei corsi pre-accademici - racconta Emanuele Beschi, Rappresentante del Ministro nel Comitato Nazionale per l'Apprendimento della Musica -. È chiaro che non ci si può presentare alle selezioni per un’università della musica senza una solida preparazione alle spalle. Ma ad oggi, partito il primo ciclo, i licei musicali e coreutici sono troppo pochi per soddisfare la domanda: le richieste sono state circa 30mila e ne sono stati aperti solo 40. È previsto, poi, l’insegnamento solo di alcuni strumenti come pianoforte, chitarra e raramente violino e violoncello. Inoltre, con la riforma non si prende in considerazione la fascia d’età precedente le scuole media con indirizzo musicale o i licei. C’è poi un discorso qualitativo: non si è riusciti a fare un buon reclutamento dei docenti per i licei. Bisogna istituire dei concorsi per gli insegnanti, ma per ora non è così». A Beschi fa eco il direttore Sonia Bo: «In Italia, rispetto all’Europa, la musica è sempre stata una cenerentola. Il nuovo problema, però, è che purtroppo la riforma è stata fatta a costo zero: abbiamo dovuto arricchire l’offerta formativa, ma ci servirebbero più fondi per non penalizzare la qualità dell’insegnamento. È difficile essere ottimisti: tra i conservatori europei l’Italia è quella più penalizzata dai tagli. A questo punto la ricetta per sopravvivere è cercare sempre più sponsorizzazioni da parte dei privati, facendo crescere la produzione interna al conservatorio». Per capire la situazione nel mondo del lavoro basta andare sul sito internet Musicalchairs.info. dove si trovano tutti i bandi di concorso per musicisti: ogni offerta compare dopo aver cliccato sul relativo strumento. Bene, in Germania si possono leggere almeno dieci bandi per strumento; in Italia, nessuno. «La musica da noi non è un lavoro»: così si confida C., un musicista italiano. Che non se la passa tanto male: lavora per una delle orchestre più prestigiose del Paese. Ha quasi quarant’anni, C., ed è entrato in conservatorio negli anni ’80. «Il problema è quello che succede dopo il conservatorio, quando inizi a tentare i concorsi. Complice la crisi, ci sono solo audizioni, mai assunzioni. L’orchestra della Scala, della Rai e del Santa Cecilia di Roma erano praticamente le uniche a proporre concorsi a tempo indeterminato. Ma per i prossimi sette o otto anni, per quanto riguarda il mio strumento, non ci sarà più nulla. Manca un vero e proprio ricambio. Chi si diploma ora deve necessariamente andare all’estero per avere una professione fissa e stabile. Attenzione, però: il lavoro fuori c’è, ma bisogna essere davvero molto bravi». L’Italia dà l’uno per cento del suo Pil alla cultura, la Finlandia l’undici. «È un mestiere in via d’estinzione: stiamo rischiando di diventare il terzo mondo della musica».
di Giulia Dedionigi
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