Conservatori, molto rumore per una riforma
intervista a Sonia Bo primo direttore donna nella storia del Conservatorio di Milano
Un bambino, di fronte a noi, cammina trascinandosi sulle spalle un violoncello. Pochi passi più avanti, sulla sua destra, passa accanto al busto in bronzo di Giacomo Puccini. Siamo nell’antico chiostro del Conservatorio. È un freddo giovedì di dicembre. A Milano si è svolta da qualche giorno la prima scaligera. Un’apertura che si ricorderà per il red carpet colmo di studenti provenienti da tutta Italia in protesta per i tagli che, ad ogni latitudine, hanno colpito la cultura. Ci accoglie Sonia Bo, il nuovo e primo direttore donna nella storia dell’Istituto. «E’ un momento negativo in tutta Europa - ci spiega - e anche il Conservatorio deve prendere le contromisure».
«Il nostro ordinamento prevedeva studi divisi per sezione su corsi decennali – racconta Emanuele Beschi, rappresentante del Ministro nel Comitato nazionale per l'apprendimento della musica - con esami importanti al quinto, ottavo e decimo anno. Con la riforma i Conservatori si trasformano in Università a tutti gli effetti con un triennio e un biennio che permettono di ricevere un diploma accademico con valore di laurea. Sono stati approvati definitivamente i trienni ordinari, ma i bienni esistono solo in forma sperimentale. È una fase di transizione in cui c’è ancora il vecchio ordinamento ma, contemporaneamente, è già in funzione il nuovo. Tempi e scelte dettati dalla politica».
Ma se la legittimità del cambiamento del piano di studi è dettata da una normalizzazione a livello europeo, chi prepara gli studenti prima dell’ingresso al Conservatorio e all’Università? «Abbiamo insistito con il Ministro – Beschi che è anche insegnante di viola - affinché tutto il percorso storico e tradizionale dei Conservatori non fosse accantonato. Così, in questa fase di passaggio, ci è stato concesso d’istituire dei corsi pre-accademici. È chiaro che non ci si può presentare alle selezioni dell’università della musica senza una solida preparazione alle spalle».
Qual è allora la funzione dei licei coreutici musicali? «Questo è un nodo cruciale nella Riforma Gelmini. I conservatori non diventeranno mai un liceo perché sono stati equiparati all’alta formazione universitaria. Ma ad oggi, partito il primo ciclo, i licei sono troppo pochi per soddisfare la domanda: le richieste sono state circa 30mila e sono stati aperti solo 40 di licei musicali. Non c’è la possibilità di soddisfare l’obiettivo primario, cioè l’ingresso al conservatorio. Inoltre, è previsto l’insegnamento solo di alcuni strumenti: pianoforte, chitarra, violino e violoncello. La riforma non prende in considerazione la fascia d’età precedente all’ingresso universitario. Un bambino deve iniziare a studiare pianoforte a otto anni, non a 12, durante la scuola media a indirizzo musicale o, peggio ancora, oltre i 15 anni, al suo ingresso al liceo. Infine, c’è il problema della qualità dell’insegnamento: nei licei non si è riusciti reclutare buoni docenti. Bisognerebbe istituire dei concorsi per gli insegnanti».
In quest’ottica il conservatorio rimane una valida alternativa al liceo coreutico musicale.
«Il conservatorio, secondo la riforma, è l’università della musica: non dovrebbe supplire all’assenza di strutture adeguate. Ma la nostra principale preoccupazione risiede nella mancanza di unitarietà e continuità nel percorso formativo che, così disegnato, sarà frammentato e qualitativamente inferiore. Manca la garanzia di una scuola di base. Si è verificato anche il problema della doppia frequenza: essendo a tutti gli effetti un’università, un nostro studente non può più essere iscritto, come è successo fino ad oggi, anche ad altri corsi post-diploma contemporaneamente al conservatorio. Oggi il Ministro sembra essere disposto a risolvere il problema per fare in modo che compositori o direttori d’orchestra possano ottenere parallelamente anche più di un diploma».
Il Conservatorio Giuseppe Verdi, che ha da poco compiuto duecento anni, è diventato parte integrante del sistema universitario, fa capo al Ministero dell’Università e della ricerca e ha creato da quest’anno anche una laurea in musicologia insieme all’Università degli Studi di Milano. Il direttore, Sonia Bo: «Ho concluso i miei studi di composizione nell’85, poi ho insegnato qui e ora, da novembre, sono stata eletta direttore». La Bo non nasconde le sue preoccupazioni: «In Italia, rispetto all’Europa, la musica è sempre stata cenerentola. Nella formazione scolastica l’educazione musicale non ha mai trovato uno spazio adeguato. Così, non si è mai formato un pubblico adeguato, capace di appassionarsi alle realtà musicali. Come direttore, vorrei rilanciare il Conservatorio per potenziare il suo contatto con le realtà internazionali. I nostri punti di forza sono la sperimentazione e la produzione, attraverso partnership, borse di studio, concerti, festival».
Con mille e settecento studenti, oltre 250 diplomi l’anno, 244 docenti e più di 67 percorsi di studio, è facile immaginare che un cartellone ricco di concerti e appuntamenti musicali è possibile. Un cartellone nel quale gli studenti sono coinvolti direttamente, dall’organizzazione all’esecuzione. Il sostegno al Conservatorio, però, viene anche da veri e propri “mecenati della musica”: privati, fondazioni ed enti di produzione musicale. Così l’istituto può vantare ogni anno l’assegnazione di premi e borse di studio.
«La riforma è stata portata avanti fatta a costo zero: abbiamo dovuto arricchire l’offerta formativa, ma ci servirebbero più fondi per non penalizzare la qualità dell’insegnamento. Ce la stiamo mettendo tutta, con un grande dispendio di energie da parte di tutti i docenti, che lavorano ben oltre le ore per cui sono stati chiamati ad insegnare. È difficile essere ottimisti: tra i conservatori europei, gli italiani sono quelli più penalizzati dai tagli».
tratto da Magzine. intervista di Giulia Dedionigi
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